Oggi presentiamo il libro di Anna Maria SdraffaCosì muore una colomba” pubblicato dalla 0111 Edizioni il 30 settembre 2019 e finalista alla Seconda Edizione del Premio “1 Giallo x 1000”.

Trama del libro: Genova, novembre 1960: Elda Varaldi, un’insegnante di liceo timida e bruttina, non più giovanissima, esce al mattino per recarsi alla sua scuola, presso la quale terrà regolarmente lezione, ma non fa più ritorno a casa. La polizia tende a ritenerlo un allontanamento volontario ma, poiché la famiglia non è di questo avviso, i genitori chiedono aiuto a un vecchio amico, l’ex Commissario di Polizia Corrado Sivori, in pensione da alcuni anni. Già dai primi giorni di indagine emerge che Elda Varaldi, prima della sua sparizione, si era comportata in modo tale da gettare alcune ombre sulla sua immagine irreprensibile. La situazione si complica quando altre due donne, che sia pure in modo diverso possono essere messe in relazione con la professoressa scomparsa, vengono brutalmente uccise.

Allora Anna, parliamo un po’ del tuo libro, spiegaci com’è nata l’idea per questa storia e svelaci alcune curiosità legate alla trama:

Questo libro è un classico giallo, che è un genere nel quale amo molto cimentarmi. È ambientato nel 1960, in un’epoca che già avevo scelto per i miei romanzi precedenti, per ragioni che, se poi interessano, vi spiegherò. L’idea però nasce da un fatto di cronaca più recente, la sparizione di un’insegnante torinese, Gloria Rosboch, di cui in seguito verrà ritrovato il corpo, uccisa per mano di uno dei suoi allievi. Dirò subito che quando ho iniziato a scrivere il romanzo non avevo idea di quel che fosse accaduto alla professoressa Rosboch, e che comunque, anche se fossi stata già a conoscenza dei fatti, la mia intenzione non era certo quella di raccontare la sua storia. Per questo motivo il mio racconto si svolge in modo del tutto autonomo e scollegato dalla vicenda. L’unico punto di contatto è proprio in quel personaggio che mi ha incuriosita da subito: una donna non più giovanissima, mai stata bella, timida, insicura, cresciuta in una famiglia affettuosa ma troppo protettiva, che le ha impedito di raggiungere una piena maturità nel vivere le sue emozioni. Questa era la professoressa Rosboch e questa è la mia protagonista, Elda Varaldi.

Se non ricordo male, però, la vicenda a cui ti sei ispirata risale a diversi anni fa. Il tuo romanzo è stato invece pubblicato a settembre dello scorso anno. Come mai così tanto tempo? Ci hai messo molto a scriverlo o lo hai tenuto nel cassetto?

No, né l’uno né l’altro. L’ho iniziato e poi per una serie di problemi, fortunatamente risolti, sono stata per circa due anni senza scrivere o, per lo meno, occupandomi solo di teatro. Ho lasciato il mio romanzo quando era circa a tre quarti, e pensavo che non lo avrei più finito. Poi, nei primi mesi del 2019, per caso ho riletto ciò che avevo scritto e ho pensato che forse valeva la pena di aggiungere i pochi capitoli che mancavano. Naturalmente, anche se nel frattempo era ormai noto cosa fosse successo alla povera professoressa Rosboch, la mia storia aveva preso la sua strada.       
Però devo dire che non è facile riprendere in mano un romanzo quando si è usciti dall’atmosfera della narrazione, dalla sintonia con i personaggi … Ci ho provato almeno due o tre volte e ho lasciato perdere. Ma poi, poco per volta, mi sono di nuovo trovata “dentro” alla trama, e sono riuscita a finirla.

Un’osservazione: Gloria Rosboch era una donna dei nostri tempi. Perché invece il tuo romanzo è ambientato nei primi anni ’60?      

Sostanzialmente per due ragioni: la prima è che avevo un personaggio bello pronto, il commissario Corrado Sivor,i in pensione dal 1953, ma che si trova spesso invischiato in indagini parallele a quella della Polizia Giudiziaria, per le ragioni più disparate. Questa volta, ad esempio, si tratta di cedere alle pressioni di moglie e cognata che lo pregano di indagare sulla scomparsa della figlia di una loro amica, visto che la polizia lo ritiene un allontanamento volontario.          
 Ma esiste un’altra ragione. Mi interessava in realtà completare il mio viaggio negli anni ’50 e ’60, che sono poi quelli della mia infanzia, in cui di donne come Elda Varaldi ce n’erano molte. Le bruttine, quelle che nella mente dei familiari erano destinate a restare zitelle e che allora, nella migliore delle ipotesi, si facevano studiare in previsione del fatto che nessun uomo le avrebbe mai volute. Un mondo in cui il matrimonio era per una donna l’obiettivo più naturale, e ogni strada alternativa a questo altro non era se non un ripiego.
Ricordo di aver conosciuto, in quegli anni, almeno tre o quattro “Elde Varaldi”. Qualcuna decisamente brutta, qualcuna che forse era semplicemente nata nell’epoca sbagliato. Tutte pressate da una famiglia preoccupata principalmente di evitar loro delusioni, e quindi di iper-proteggerle, evitando ogni contatto con un mondo esterno, soprattutto quello maschile, che poteva procurare solo dispiaceri.

Hai detto che ci avresti spiegato perché tutti i tuoi romanzi sono ambientati in quegli anni.

A dire il vero è stata una scelta compiuta per il mio primo romanzo, “Affinché tutto abbia fine”, per il quale l’ambientazione era funzionale alla storia, nel senso che quella vicenda non poteva svolgersi in altra epoca. Ma poi, dopo il primo, è arrivato il secondo, e allora ho fatto alcune scoperte. Una di queste è che, quando termini una storia, lasciare i tuoi personaggi ti strappa il cuore: sono diventati amici, parenti, li ami tutti, persino l’assassino. Te li vorresti portare tutti in un altro romanzo, ma non si può. Però potevo portare con me il mio bonario commissario in pensione e la moglie, e così ho fatto. Ma ciò mi ha costretto a restare negli anni ’50.  Del resto mi ero resa conto che mi piaceva quel tuffo nel mio passato più remoto. Gli anni ’50 e i primi anni ’60 hanno un certo fascino. La guerra era un ricordo recentissimo, le persone si portavano dietro grandi ferite. Allora non c’era troppo riguardo per i bambini, gli adulti ci consideravano un po’ come bestioline da ingozzare di cibo perché non soffrissimo mai la fame come loro stessi avevano sofferto. Però davanti a noi parlavano di tutto, degli episodi più terribili, rivivevano le loro paure e i loro lutti. Ma noi capivamo ogni parola, e certi racconti ci sono rimasti incisi nell’anima. Per questo è stato molto coinvolgente riviverli scrivendo.

Ma torniamo al tuo ultimo libro: “Così muore una colomba”. Hai dovuto lavorare molto per scriverlo, fare ricerche o informarti per questioni più tecniche?   

Non molto, decisamente meno rispetto agli altri miei libri. In questo momento ricordo solo di essermi informata sulle tecniche di grafologia. Nel mio romanzo i familiari della protagonista ricevono un biglietto da lei, dopo la sua sparizione, con il quale la donna dice loro di star bene e di non cercarla. Questo non fa che rafforzare l’opinione della Polizia che, come ho già detto, ha pensato da subito a una decisione presa in libertà. Ma il mio commissario in pensione ha tra le sue vecchie amicizie un grafologo a cui sottopone lo scritto. Ecco, per buttar giù le poche righe relative alla visita di Sivori all’amico mi sono letta un intero testo di grafologia. Devo dire che l’ho trovato interessante.

L’idea del titolo com’è nata?          

Nasce dalla frase pronunciata da uno dei personaggi: “Elda è una colomba tra i falchi. Ma talvolta anche le colombe si stancano, e decidono di rinascere falchi”. E allora col mio titolo sfido il lettore, o almeno ci provo: Come muore la colomba Elda? Qualcuno la uccide o lei stessa decide di sparire per rinascere falco?  

Raccontaci in breve qualcosa di te, chi è Anna Maria Sdraffa nel quotidiano?         

Una signora un po’ vintage (non mi farete mai riconoscere di essere “anziana”!).          
Ho lavorato per molti anni in una importante Società Petrolifera. Poi, quando il ramo d’azienda a cui appartenevo è stato ceduto a una diversa realtà industriale, che ci avrebbe trasferiti a Roma, ho scelto di restare a Genova e per sette anni ho fatto l’insegnante di matematica e fisica in un Liceo privato. Bellissimo il rapporto con gli studenti, molto divertenti e, devo dire, tutti bravi ragazzi. Ma sono felice che sia stata un’esperienza breve: preferisco di gran lunga studiare piuttosto che insegnare e, anche se cercavo di nasconderlo (non sempre!), devo ammettere che mi innervosivo moltissimo ad ascoltare stupidaggini.   
Oggi sono in pensione ma ho molte attività. Faccio parte di una compagnia di teatro amatoriale, ho scritto diversi testi che sono andati in scena con un buon successo e talvolta, con grande ansia, sono salita sul palcoscenico anche come attrice. Scrivo i miei romanzi e anche diversi racconti.  Credo che prima o poi ve ne proporrò una raccolta, sperando che vi piaccia.     
E poi sono madre di due figli meravigliosi e a settembre diventerò nonna per la prima volta!

Auguri! Ma per tornare ai tuoi libri ricordiamo ai nostri lettori che Anna Maria Sdraffa ha pubblicato altri romanzi con noi, di seguito elenchiamo i titoli, così che possiate trovarli facilmente:     

Affinché tutto abbia fine
L’Agamennone
Un segreto di famiglia

Di seguito indichiamo alcuni link d’acquisto utili per reperire il libro, sia in formato cartaceo che ebook, segnalando come sempre il nostro store online La banda del book che offre uno sconto sulla versione cartacea.

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Ringraziamo Anna Maria Sdraffa per essere stata con noi e averci presentato il suo libro “Così muore una colomba

Per leggere un’anteprima del libro “Così muore una colomba” clicca qui sotto.

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